Ritorno alla terra

ritorno alla terra: campagna campidaneseQuasi ogni giorno, sul web e sui giornali si parla di agricoltura e di ritorno alla terra a quella terra che, si dice, abbiamo abbandonato, ma la verità è che ad un certo punto siamo usciti dal mercato e le cause sono state molteplici come le conseguenze.

Di sicuro abbiamo sbagliato se oggi ci ritroviamo dei paesi fantasma pieni di case vuote e cadenti mentre un tempo apparivano solide e piene di vita, luoghi di riposo, di lavoro, di trasformazione e conservazione dei prodotti, ricovero di uomini, bestie e attrezzi.

Di sicuro abbiamo sbagliato se oggi ci ritroviamo una campagna incolta, in disordine, aggredita dal cemento e dai rifiuti mentre un tempo appariva curata e coltivata anche nei più piccoli appezzamenti.

Di sicuro abbiamo sbagliato se abbiamo territori inquinati, stabilimenti chiusi e disoccupazione sempre in crescita mentre un tempo ammiravamo quelle fabbriche di stipendi.

Abbiamo sbagliato a credere alle favole che ci hanno raccontato, la televisione che ha omologato l’Italia, i politici che hanno fatto grandi carriere, i ricchi che sono diventati sempre più ricchi.
Abbiamo sbagliato, ma siamo stati male consigliati, male aiutati, male trattati, eravamo produttori e siamo diventati consumatori.

Abbiamo mollato perché nessuno comprava i nostri prodotti, perché siamo stati sommersi dalle importazioni e i prezzi sono crollati, la nostra struttura produttiva, inadeguata a un mercato globale, è naufragata e siamo scappati, verso la scuola, verso la fabbrica, verso gli uffici, verso le caserme.
Siamo corsi verso il nuovo perché il vecchio era fatica, perché il vecchio non pagava, eravamo ignoranti e abbiamo studiato, abbiamo appreso la cultura e le tecniche moderne, ma abbiamo dimenticato la cultura e le tecniche tradizionali la cui trasmissione millenaria si è interrotta per mancanza di interesse.
Siamo scappati verso la città lasciando dietro di noi case vuote e terreni incolti e dopo una generazione abbiamo perso contatto, dopo due abbiamo perso memoria.
Terreni abbandonati e case chiuse, da anni, da decenni. Una dopo l’altra abbiamo messo in vendita le case dei nostri paesi, i terreni delle nostre campagne, tutto è in vendita in Sardegna, ma solo i ricchi possono comprare.

Importiamo l’ottanta percento di quello che mangiamo, ma la maggior parte di noi continua a scappare, verso nuove illusioni: il turismo, la chimica verde, il petrolio, il metano.
Niente cambierà finché non si esce dalla frammentazione fondiaria, finché sarà più conveniente costruire che coltivare, finché non sarà riconosciuto il ruolo sociale e ambientale dell’agricoltore, finché continueremo a privilegiare le reticelle al fico d’india, finché al mercato non potremo riconoscere i nostri prodotti, finché la politica non metterà al centro l’agricoltura e il paesaggio, finché saremo schiavi dei produttori di sementi, veleni e mangimi, finché continueremo a credere alle favole.
Come si può sperare in un ritorno alla terra in queste condizioni?
Bisogna essere eroi o masochisti o benestanti o disperati per dedicarsi all’agricoltura in Sardegna.

Se riparte l’agricoltura e l’allevamento si innesca una spirale virtuosa: presidio delle campagne, blocco dello spopolamento dei paesi, ripresa demografica, recupero dei beni architettonici tradizionali, riqualificazione del territorio. Cambierà il paesaggio, sarà più bello, sarà vero e vissuto, sarà di nuovo unico, sarà la Sardegna che ritrova se stessa.
Se riparte l’agricoltura, riparte la Sardegna.